Cassazione

Nei giorni scorsi si è accennato all’usanza – intrisa di profondo strabismo – che annota l’amplificazione abnorme di notizie che vanno a vantaggio delle società di assicurazione mentre, nel caso opposto, esse vengono ridimensionate divenendo materia di disamina in piccoli trafiletti appena visibili in penultima pagina di un qualsiasi giornalino locale.
Ogni volta che si parla di risarcimenti si riportano in vita sentenze di Cassazione che hanno statuito significativi ribassamenti ed, addirittura, si enuncia che “quel” diritto è stato depennato quale voce di risarcimento spettante al danneggiato.

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Il “fermo tecnico”, la “svalutazione del veicolo”, il “noleggio di un’autovettura similare”, il “lucro cessante”, il “danno morale”, la “riparazione antieconomica” e tanti altri ancora sono argomenti su cui, spesso, ci si confronta in aule di tribunale ove vengono richiamate postille, interpretazioni, concetti giuridici e pareri di illustri cattedratici.

La nota lieta è che ognuno di questi argomenti gode del proprio momento di gloria per poi finire nel dimenticatoio laddove viene genericamente confermata la bontà delle posizioni processuali delle “parti resistenti” sia perché, come già esposto, le società di assicurazioni godono del grande privilegio di vederle alleate ai grandi e potenti mezzi di comunicazione e sia perché la “parte richiedente”, prima o poi, crolla per la stanchezza accumulata e per il disperato bisogno della materia prima – il vile denaro – che nessuna rabbia in corpo potrà mai sostituire.

Oggi è il momento di gloria di un concetto particolarmente interessante: la “parcellizzazione del danno; tanti ne discutono ed, addirittura, qualche grasso furbastro ha iniziato a far circolare copia di dissennate sentenze sventolandole come indegne bandiere di un diritto negato.
La Cassazione, in effetti, si è espressa più volte in argomento ed, in particolare, occorre rammentare alcune sentenze – in particolare la numero 28286 del 22 dicembre 2011 – in cui viene avvalorata e confermata la tesi dell’improponibilità e dell’inammissibilità delle domande aventi per oggetto una frazione soltanto dell’unico credito.

In ossequio allo strabismo imperante tutti ad amplificare tale concetto: sia i debitori sia i decidenti e, persino, i creditori ed, in preda a una lallazione di tipo compulsivo, tutti a ripetere: «nun si paia, nun si paia, nun si paia».

Eppure anche la Cassazione, a volte, fa una manovra di retromarcia e, proprio a supporto di ciò che si è sostenuto prima, ecco trapelare, quasi con timidezza, una nuova sentenza – la numero 5491 del 19 marzo 2015 – della Sezione IIIa della Cassazione; in essa viene ribadito un concetto fondamentale ed assolutamente, si crede, legittimo: l’avente diritto, nel parcellizzare il proprio credito, contribuisce all’effetto distorsivo del fenomeno della fittizia proliferazione della cause autonomamente introdotte ma ciò non vuol significare che la successiva richiesta sia improponibile o inammissibile atteso che tale soluzione gli farebbe venir meno un diritto costituzionalmente garantito sotto la voce del risarcimento del danno.

Eventualmente si potrà discutere di “onorari” poiché appare lecito argomentare sulla duplicazione delle spese a carico del debitore così come si potrà vagliare l’ipotesi – qualora ciò sia possibile – di riunione delle cause ma giammai si potrà annullare un proprio debito sol perché il creditore lo ha richiesto in forma frammentata.

Quasi elementare tale soluzione e basterebbe rifletterci un attimo per intendere che non può sussistere un parere diverso salvo che non si soffra, per l’appunto, di strabismo giuridico.
Sarebbe cosa buona e giusta che tutti si adeguassero a tale impostazione e che se ne parlasse in forma correttamente divulgativa.
Incondizionatamente!

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