Tribunale di Siracusa

Giunto al Tribunale di Siracusa, in uno dei giorni appena trascorsi, mi sono imbattuto in un collega che girovagava nei corridoi alla ricerca di un non meglio identificato professionista con cui avrebbe dovuto scambiare, a suo dire, alcuni documenti assolutamente fondamentali per meglio contornare la posizione processuale del comune cliente che, peraltro, era stato protagonista di un grave incidente stradale alcuni mesi prima. Alcune carte, in parte sgualcite, poste sotto l’ascella, lo accompagnavano.

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Lo seguivo con lo sguardo – dopo averlo salutato – mentre entrava nelle varie stanze in cui diversi Giudici di Pace tenevano le proprie udienze; ne usciva pochi istanti dopo scuotendo il capo e lamentandosi del fatto che non trovava la persona cercata ed alzava lo sguardo quasi ad attendere che costui si materializzasse all’improvviso magari scendendo le scale adiacenti.
Stando seduto su una panca, saltuariamente lo osservavo intrattenersi con qualche avvocato con cui scambiava battute più o meno echeggianti o, in alternativa, forniva informazioni sui motivi che lo avevano portato in quei luoghi o agganciava qualche addetto alla Cancelleria per confabulare, roteando anche lo sguardo, dopo essersi appartati a ridosso di qualche pilastro.

Ritengo sia molto conosciuto in quell’ambiente ed in ogni caso ostentava atteggiamenti assolutamente altisonanti che rimandavano, nella mia mente, ad un amletico dubbio: o è una delle strutture portanti della Giustizia italiana oppure è un millantatore.
Non ho avuto il tempo di rispondere a me stesso poiché ero lì per ricevere un incarico di consulente e, finalmente, dopo circa trenta minuti di attesa, era stata chiamata la causa civile per cui ero stato convocato.

In piedi ed a capo scoperto ho ascoltato quanto il Decidente aveva da disporre a proposito del medesimo incarico e, dopo aver prestato il consueto giuramento di rito, ho ottenuto l’autorizzazione a ritirare i relativi fascicoli oltre a farmi rilasciare la copia fotostatica del verbale d’udienza.
Lasciata l’aula, risalivo le scale per raggiungere l’uscita quando il mio sguardo si è, nuovamente, incrociato con quello del collega ancora gironzolante nel corridoio; con un cenno della mano ci siamo salutati e sono andato via anche se non ho potuto fare a meno di notare che nell’altra mano teneva alcuni bigliettini da visita e sotto l’ascella manteneva le stesse carte di prima.

Era trascorsa un’altra ora quando mi resi conto di aver dimenticato, su una sedia dell’aula dove avevo prestato giuramento, la mia agenda su cui annoto quei pochi appuntamenti giornalieri e, pertanto, pur a malincuore, decido di ritornare in Tribunale imprecando contro la mia sbadataggine e, nel contempo, pregando di ritrovare quei preziosi foglietti dove, peraltro, vi sono postillati tanti numeri di telefono di amici, parenti e conoscenti oltre ché di molti colleghi.
Ridiscendo e ritrovo il collega che continuava ad andare qua e là, a parlottare ed a scambiare cenni di intesa o di saluto con alcuni di coloro che lo incrociavano.
Stessa ascella e stesse carte!

Mi è venuta spontanea una domanda: “scusa, ma perché non chiami per telefono la persona con cui ti devi incontrare”?
“No, vabbè”! Fu la risposta. “Tanto non era urgente”!
Ho rinvenuto la mia agenda e sono andato definitivamente via.
Lui, invece, è rimasto lì.

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